venerdì 6 gennaio 2012

Ancora Lady Gaga. Ma come la intendo io (e Bonami).

Adoro la Moda.

Adoro l'Arte Contemporanea.

Adoro Lady Gaga una volta di più.

L'articolo che segue è di Francesco Bonami per la cover story de L'Uomo Vogue, gennaio 2012.


Tutta la faticosissima ricerca e scelta foto(a eccezione delle immagini di Lady Gaga appartenenti al servizio fotografico realizzato da Inez and Vinoodh per l'articolo succitato), video e link vari è mia.
Anche molti 'a capo' sono miei.

L'intento era quello di rendere il breve saggio di Bonami una piccola galleria d'arte.

Buona lettura (e buona visione).


'Ve lo ricordate il vestito da cigno disegnato dalla stilista macedone Marjan Pejoski e indossato alla cerimonia degli Oscar da Björk, nel 2001?


Ecco, se Björk ricordava un cartone di Walt Disney andato a male, le nuove metamorfosi dell’abbigliamento di Lady Gaga ricordano Terminator.

                                  

Il lago dei cigni che si trasforma in un cimitero di automobili.


Dalla natura alla meccanica.


 


Lady Gaga ha sempre seguito da vicino l’arte contemporanea anche se con qualche annetto di ritardo. Il famoso vestito di carne disegnato da Franc Fernandez e realizzato da Nicola Formichetti è una citazione di Vanitas, un’opera dell’artista canadese Jana Sterbak del 1987 (quando baby Gaga aveva solo un anno).

                                                               Jana Sterbak 'Vanitas', 1987





Anche la nuova “hard couture” di Miss Germanotta pesca nel pozzo profondo dell’arte contemporanea. 
A momenti la cantante sembra un rottame accartocciato di John Chamberlain,

                                                  John Chamberlain 'Thigh of Content', 2006


in altri viene fuori la pazzia visionaria di un grande performer diventato architetto come Vito Acconci.



     
Vito Acconci 'Three Adaptation Studies' (Blindfold Catching, Hand and Mouth, Soap & Eyes), 1970


Oppure le recenti sculture di un altro veterano, Frank Stella.


  
                                                   Frank Stella 'Bale Pebasmean', 2005

  

Lady Gaga è una scultura-cantante. Le metamorfosi della sua pelle sono di per sé vere performance o mutazioni estetiche più che genetiche. Nel suo stile c’è qualcosa di sci-barbaric, fantascienza barbarica, come in Mad Max oltre la sfera del tuono con Mel Gibson e Tina Turner


Conan il distruttore con Arnold Schwarzenegger e Grace Jones.



Guarda caso tutti film che richiamano le opere della Sterbak della metà degli anni 80 e che sembrano essere la miniera a cui la cantante attinge la ricchezza della sua identità. Lady Gaga è un’apocalittica disintegrata che si espande indietro e in avanti nella storia dell’arte, del cinema e della performance.



In lei rivivono i dadaisti del Cabaret Voltaire di Zurigo che con i loro spettacoli estremi preannunciavano l’assurdità della Prima guerra mondiale.


                                                         Interno del Cabaret Voltaire

                                
                                                           Hugo Ball 'Karawane', 1916

Ma si annusa anche il sangue dell’Azionismo viennese: uno dei suoi protagonisti, Otto Muehl, dichiarava, nel 1967, che l’azione materiale promette il piacere diretto e sazia più di un pezzo di pane.

      Otto Muehl 'Materialaktion Nr. 5' (Verschnürung eines weiblichen Körpers), 1964

Non ci meravigliamo, dunque, se ai prossimi Grammy Awards Lady Gaga arriverà vestita da “Baguette au fromage et jambon”. 

Grande azionista degli Azionisti era anche Rudolf Schwarzkogler: le sue performance consistevano nel vestirsi con un pesce morto, o un pollo marcio, o ricoprirsi di lampadine accese o di fluidi colorati non meglio identificati, oppure farsi avvolgere in bende di garza come una mummia per poi auto-mutilarsi.

                                Rudolf Schwarzkogler 'Rudolf Schwarzkogler 2 Aktion', 1965

Ma da Lady Gaga ci aspettiamo qualcosa di più metallico e di meno organico. La stagione del macellaio sembra passata e non pare voler più ritornare. Sicuramente nella testa di Gaga da qualche parte c’è Ron Athey, il performer americano super tatuato e super perforato.


                                                 Ron Athey, 'Self Obliteration I & II', 2011

Ma qualche idea potrebbe anche arrivare da Yang Zhichao, performance artist cinese che si è fatto piantare dell’erba sulla schiena o impiantare oggetti nelle gambe e sullo stomaco.

                                                     Yang Zhichao 'Grass Growning', 2000

Ma qualcosa ci dice che Lady Gaga dentro al suo corpo non vuole nulla (di permanente, s’intende), né per scherzo né per burla.


Per lei il corpo non è un territorio di conquista bensì un palcoscenico sul quale montare di volta in volta una scenografia un po’ come fa un’altra video-artista e performer, Cao Fei, che crea usando un’immaginazione zoologico-futurista.

                                        Cao Fei 'Avatars' (per gentile concessione di Art21)

Ma si possono dimenticare gli abiti elettrici realizzati con tante lampadine di forme e colori diversi di Atsuko Tanaka, artista giapponese della metà degli anni 50?

                                        Atsuko Tanaka 'Denki foku' (Electric Dress), 1956

No, non si possono dimenticare perché un giorno li potremmo ritrovare – variati e stilisticamente migliorati – addosso alla nostra signora.

Né possiamo dimenticare il ciclo dei film Cremaster di Matthew Barney, l’artista americano più influente della fine del Ventesimo secolo, a suo modo un Lady Gaga del mondo dell’arte: con i costumi dei suoi film ci si potrebbe vestire un esercito di Gaga.

                       
                                                   Matthew Barney 'Cremaster Cycle', 1995. Trailer

Le mutazioni “gaghiane” sono allora solo un riassunto della storia dell’arte della performance più recente? C’è chi lo crede, ma sbagliando. Oggi gli artisti, da Cattelan alla nostra signora GG, non sentono più l’urgenza di reinventarsi da zero per esistere. Sanno di essere al tempo stesso medium e messages, mezzi e messaggi. Sono connettori che collegano immagini relegate all’oscurità o troppo elitarie a un pubblico molto più vasto, a volte immenso. Pochi parlavano o si ricordavano di Jana Sterbak prima che Lady Gaga si presentasse in “cotoletta da sera”.

La performance, anche se derivata, a volte aiuta a riscoprire cose che andrebbero altrimenti perdute nel disinteresse collettivo. Lady Gaga appartiene alla generazione dei mutatis mutandis, ovvero coloro che costruiscono la propria identità cambiando le cose che già esistono ma che hanno bisogno di essere cambiate per continuare a esistere.


Non significa copiare: vuol dire mettere in scena.'

Ad meliora.
Denisetta

2 commenti:

  1. Arte e moda. Un binomio segnato da sempre!

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  2. Ciao anonimo. La ricerca che sta portando avanti Lady Gaga e il suo entourage della Haus of Gaga (sulla falsa riga della Factory di Warhol) è ammiravole.
    Grazie per il commento!
    Denisetta

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